Capire l’Intelligenza Marco Siva

"Capire l'intelligenza" - Intervista a Marco Siva

Quando ero un bambino sognavo di fare l’astronauta ed il pilota di aerei…ma soffrivo di vertigini…e avevo paura del vuoto… Con il passare degli anni la situazione è peggiorata e ho pensato che interessarmi all’uomo (e alla donna!) potesse essere interessante e una buona alternativa. Mi sono cosi laureato in psicologia e mi sono successivamente specializzato in psicoterapia.

Presso gli Istituti per l’Organizzazione Neurologica di Querceta, dove attualmente lavoro, ho conseguito l’abilitazione di INPP Licentiate.

Della scuola ho un brutto ricordo……ma ho un ottimo ricordo di alcuni dei miei insegnanti, di quelli che mi hanno stimolato la curiosità per le cose della vita e del mondo, di quelli che hanno motivato la mia voglia di apprendere.

Credo che ogni bambino per crescere sereno abbia bisogno di poter dimostrare la sua intelligenza e di poterla usare al massimo delle sue capacità.

Ciao Marco. La psicologia, é percepita per alcuni come una scienza astratta, e spesso abbiamo bisogno di concretezza. Ci daresti una definizione di intelligenza che ritieni utile?

E’ difficile dare una definizione univoca; in letteratura vengono definite diverse forme di intelligenza: linguistica, matematica, cinestetica…e così via.

Sono, queste ultime, definizioni limitanti e ciò dimostra la difficoltà di definire un concetto altamente complesso come intelligenza.

Nel lavoro che svolgo ho trovato forme di intelligenza che nessun test di livello avrebbe potuto rilevare; pazienti che, con diagnosi seppur diverse ma spesso accomunati dalla dicitura “con ritardo mentale”, sono riusciti a dimostrare in realtà anche ottime capacità di apprendimento.

L’intelligenza dovrebbe includere nella sua definizione la capacità di imparare, ancora prima della capacità di dimostrare.

Se un aborigeno mi facesse un test di intelligenza nella sua lingua farei scena muta, soltanto forse qualche verso, e risulterei indubbiamente incapace di intendere e di volere: diagnosi “grave ritardo mentale”.

Ciò per dire che non si può valutare l’intelligenza, qualsiasi essa sia, senza strumenti adeguati e idonei alla situazione e allo specifico paziente che abbiamo davanti.

Hai parlato degli strumenti per misurare la intelligenza. Pensi che abbiano dei limiti?

Immagino di avere davanti a me un ragazzo con paralisi cerebrale infantile, che non parla e non scrive.

Immagino di avere davanti a me un alunno autistico che ha difficoltà a stare fermo ed è distratto sensorialmente da un qualsiasi stimolo si presenti.

Offro loro i miei strumenti convenzionali di valutazione e probabilmente farrei risparmiare a loro e a me del tempo prezioso: “grave ritardo mentale”.

E’ credo evidente ed indiscutibile come la sensorialità e l’immaturità neurologica in generale di ognuno limiti o agevoli la capacità di apprendere e dimostrare.

Molti di noi senza buoni occhiali da lettura sarebbero completamente ignoranti.

Pur nella banalità dell’esempio ciò vuol dire che per imparare ognuno ha bisogno di supporti e strumenti che compensino eventuali deficit sensoriali e ciò è tanto più vero quando ci si riferisce ad alunni con gravi deficit e ai quali non basta certo un buon paio di occhiali.

Non ho mai amato in tal senso i test diagnostici come strumento per quantificare l’intelligenza e, pur riconoscendone in alcuni ambiti la validità, li considero altamente limitanti.

Ma, allora é possibile essere intelligenti anche senza parlare? Che implicazioni avrebbe questo nei bambini con gravi disturbi del neurosviluppo?

Il linguaggio verbale e il linguaggio scritto sono visti quasi sempre come sinonimi di abilità cognitive e vengono identificati come l’unica forma palese di manifestazione di intelligenza.

Come dicevo prima, nel concetto di intelligenza va evidenziata la capacità di imparare e di apprendere, prima ancora della capacità di dimostrare.

Se ci si ferma alla capacità di dimostrare, metteremmo gli alunni con disturbi del neuro-sviluppo, nella condizione meno adatta ad affrontare una prova valutativa e li condanneremmo ad etichette davvero invalidanti come quella di “ritardo mentale”.

Se chiedo di verbalizzare i contenuti appresi a chi ha difficoltà di linguaggio probabilmente l’unico meritevole di diagnosi di ritardo mentale sarei io.

Se chiedo di dare risposte scritte a chi non è in grado di impugnare una penna, probabilmente, allo stesso modo, l’unico dotato di scarsa intelligenza sarei io.

E’ questa consapevolezza che deve essere chiara in qualsiasi contesto valutativo.

Non nego che è in realtà giusto e utile valutare i pazienti e gli alunni rispetto al loro percorso, ma ciò è da farsi utilizzando strumenti e modi idonei a chi ci sta di fronte, con le sue difficoltà.

Molto spesso, alla diagnosi principale (PCI, autismo, ecc) si associa la dicitura “con ritardo mentale”. Significa che non possono imparare?

Imparare e dimostrare sono un continuum che necessita di strumenti adatti e adeguati alle caratteristiche neurologiche di ognuno e alle sue abilità funzionali.

Senza tale presupposto non ha senso parlare e lavorare come terapeuti, insegnanti o altro in quanto viene a mancare il presupposto necessario, ciò quello di mettere nelle condizioni minime necessarie la persona per affrontare un percorso di apprendimento e valutativo.

E’ più facile affermare che un alunno non sia in grado di imparare che “inventarsi” supporti idonei all’apprendimento (caratteri di scrittura adeguati, supporti informatici,….).

E’ più facile dirsi: “se non impari è colpa tua, non sei abbastanza intelligente”, toglie fatica e responsabilità.

Situazioni di questo tipo sono purtroppo molto frequenti e ciò non può che portare l’alunno a vissuti di inadeguatezza e frustrazione; vissuti che possono avere anche risvolti negativi sul piano comportamentale come se l’alunno pensasse: “ se mi tratti da ignorante mi comporto da ignorante”.

Quale é il tuo consiglio agli insegnanti che si trovano un bambino con gravi difficoltà neurologiche in classe?

Alle volte basta un pizzico di ingegno e soprattutto di fiducia per mettere davanti agli occhi, e faccio solo uno di tanti possibili esempi, due cartelli per farci indicare la risposta esatta e voilà: “ma allora lo sai!!!”; “allora sai leggere!”

Eureka: allora ti posso insegnare!!

Usare l’intelligenza vuol dire trasmettere la fiducia che fa sentire l’altro degno e pensare che tutto ciò che c’è di nobile e di valore in una persona non sia dimostrabile solo con il linguaggio parlato o quello scritto.

Agli insegnanti se potessi suggerirei di aver fiducia in chi hanno di fronte e di utilizzare il proprio ingegno anche quando non previsto dalle disposizioni ministeriali.